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12/02/2018

Guerra e pace

A volte, girando per il mio laboratorio, mi sembra di essere nel magazzino di una caserma. Vi sono oggetti militari un po’ ovunque. Il fatto è che vivo in un città che ai tempi della leva obbligatoria era fortemente militarizzata. In più, in un paese vicino, c’è il deposito di un demolitore di rottami ferrosi che spesso effettua lo smaltimento del surplus di esercito ed aviazione. Non si ha idea dell’immenso spreco legato a questo settore. Basti pensare che quando si dismette un mezzo o un’attrezzatura, insieme ad esso vanno al macero tutti i ricambi e gli accessori, molti dei quali ancora nuovi e perfettamente imballati. Una volta, quando avevo tempo, visitavo spesso il demolitore in cerca di oggetti curiosi da usare per le mie realizzazioni. Perlopiù prendevo vecchi treppiedi in legno e ottone da usare come basi per lampade. Essendo divenuto amico del titolare non era raro che tornassi con qualche scatola di munizioni di quelle in metallo. Le ho trovate sempre molto affascinanti. Dal punto di vista del design esse rappresentano un esperimento riuscitissimo; non hanno fronzoli né spigoli vivi, sono robustissime, hanno maniglie e prese nei posti giusti. Insomma, il classico caso in cui la forma segue la funzione al 100%! In laboratorio questi contenitori  sono utilissimi. Li uso per riporre i materiali più delicati e quelli che devono rimanere all’asciutto. Le scatole hanno infatti delle efficientissime guarnizioni ermetiche che impediscono ai lamelli e ai tasselli Domino di rigonfiarsi con l’umidità. In più mi piace l’idea di riciclare oggetti che hanno avuto un costo in termini di energia e inquinamento. [caption id="attachment_19597" align="alignnone" width="640"] Le cassette di munizioni hanno svariate misure e si prestano bene a contenere attrezzi e materiali da conservare asciutti.[/caption] Insieme alle scatole di munizioni possiedo altri oggetti un poco inquietanti provenienti dalla soffitta di mio nonno: una baionetta-spada del 1907 e il contenitore di una maschera antigas tedesca della seconda Guerra Mondiale. Utilizzo il termine inquietanti non a caso, perché questi oggetti hanno visto la guerra e, direttamente o indirettamente, possono essere stati la causa di morte o di salvezza per qualcuno. Non sono del semplice surplus costruito nella corsa agli armamenti degli anni ’60. No, sono veri e propri residuati bellici. Ho sempre pensato alla guerra come l’evento di massima distruzione, in nettissima contrapposizione a quello che è il mio mestiere di artigiano, costruttore e divulgatore. Forse l’unico modo di capire come la guerra spezzi la vita delle persone, anche senza ucciderle, è visitare un luogo terremotato. Solo di fronte alla distruzione totale è possibile comprenderne l’assurdità. Quindi capirete come possa avermi pesato la presenza di questi oggetti nel mio laboratorio. Fortunatamente il contenitore della maschera antigas ha trovato subito un impiego; lo uso per riporre le punte del mio girabacchino a mano. Ha la giusta lunghezza, ce ne vanno parecchie e in questo modo l’affilatura delle viti e delle alette in testa alle punte si preserva intatta. [caption id="attachment_19598" align="alignnone" width="640"] Un vecchio contenitore per maschera antigas della seconda guerra mondiale è un ottima custodia per le punte del girabacchino.[/caption]

Per sdoganare la baionetta invece ho dovuto aspettare molto tempo, tenendola nascosta quasi come se me ne vergognassi. L’anno scorso però mi è capitata una cosa del tutto inaspettata. Ho acquistato un lotto di vecchi coltelli a petto, di quelli usati per scortecciare il legno o per sagomare gli elementi per la costruzione delle sedie tradizionali. Mentre ne ripulivo uno in particolare ho avuto la percezione di maneggiare qualcosa di già noto. L’oggetto sembrava forgiato in maniera quasi casareccia, nulla che potesse rimandare ad una produzione seriale. Al centro della lama, un solco lungo l’intera lunghezza mi ha ricordato la vecchia baionetta. Quel solco ha un nome specifico: si chiama colasangue, è tipico delle armi bianche e sulla sua funzione c’è poco da dire. Ebbene, accostando baionetta e coltello a petto si vede chiaramente come il secondo sia stato ricavato da un profilo identico a quello della baionetta (un poco più sottile, forse una spada), opportunamente tagliato, ripiegato e curvato per ricavare le parti da innestare nei manici.

[caption id="attachment_19599" align="alignnone" width="640"] La presenza della scanalatura, detta colasangue, denuncia chiaramente la provenienza del profilato impiegato per il coltello a petto.[/caption] Ora io non so per certo se quel coltello a petto sia effettivamente frutto di un riciclo oppure dell’uso del medesimo semilavorato per realizzare due oggetti diversi. Mi piace però pensare che qualcuno, a guerra finita, abbia voluto dare un segnale e così, dal giorno in cui ho fatto la scoperta, ho riesumato la baionetta per metterla in bella vista. Ogni volta che qualcuno mi chiede della sua presenza in laboratorio tiro fuori il coltello a petto e questa storia. Inventata o no mi sembra proprio che valga la pena di raccontarla! [caption id="attachment_19600" align="alignnone" width="640"] Baionetta e coltello a petto. Stesso materiale, stessa forma, destini opposti.[/caption]

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